Che cos’è il project financing
Il nuovo stadio Tardini verrà realizzato utilizzando lo strumento del project financing. Un istituto previsto dal Codice dei contratti pubblici.
Il project financing (finanza di progetto) è uno strumento di collaborazione (partenariato) tra pubblico e privato: un’operazione finanziaria che, a fronte della scarsità di risorse pubbliche, consente di coinvolgere soggetti e capitali privati nella realizzazione e gestione (in concessione) di opere pubbliche o di pubblica utilità.
Il punto centrale di ogni operazione di project financing è il finanziamento (a debito) che il soggetto privato (concessionario) potrà chiedere al sistema creditizio in ragione della “bancabilità” che ottiene grazie al contratto di concessione sottoscritto con l’ente pubblico (concedente). Debito che dovrà essere ripagato con i proventi della gestione ottenuti durante la concessione.
Tutto si gioca su tre documenti fondamentali:
- il piano economico finanziario (PEF)
- la matrice dei rischi
- la convenzione (cioè il contratto)
Questi sono i documenti chiave per stabilire da chi e con quali fonti l’operazione verrà finanziata e remunerata e su chi ricadranno gli oneri e i rischi, tra l’ente pubblico concedente e il privato concessionario.
Si vedano, qui di seguito, due esempi che dimostrano quanto una definizione non corretta di questi tre elementi contrattuali possa causare gravi sprechi di denaro pubblico.
Il project financing dell’autostrada BreBeMi: da opera “tutta finanziata dal privato” a 1,7 miliardi a carico delle finanze pubbliche
A inizio 2014 viene inaugurata la nuova autostrada A35 Brescia-Bergamo-Milano (BreBeMi). Grazie al project financing che, a detta dei politici e della stampa, sarebbe stata “tutta finanziata dal privato” che “faceva tutto con soldi suoi e con i pedaggi, senza oneri per lo Stato”.
La società di scopo Brebemi S.p.A., costituita appositamente per realizzare e gestire i 62 chilometri del nuovo tratto autostradale, si era aggiudicata la concessione (durata 20 anni) per un valore di 800 milioni.
Poi è iniziato il balletto. I costi di realizzazione sono lievitati. Il traffico previsto nel piano economico finanziario di 60.000 veicoli al giorno, ritenuto necessario per rientrare dall’investimento nei tempi stabiliti, non è mai stato raggiunto, attestandosi invece su 20.000 veicoli al giorno. Complice anche il pedaggio di € 0,15 al chilometro, più del doppio rispetto a quello della complanare A4 Milano-Venezia di € 0,07 al chilometro.
E così il concessionario ha cominciato a registrare pesanti perdite, tanto che la convenzione è stata rinegoziata, introducendo nuove clausole, il prolungamento della durata della concessione di 5 anni (per totali 25 anni) e il rimborso delle perdite subite rispetto al piano economico finanziario evidentemente troppo ottimistico, che hanno garantito al privato il riequilibrio dei conti e il ritorno dell’investimento.
La BreBeMi alla fine è costata 2,4 miliardi. Il progetto, che doveva essere interamente a carico del privato, alla fine è costato alle finanze pubbliche 1,7 miliardi.
Il project financing degli ospedali toscani: 140 milioni in più per le casse pubbliche
Nel 2022 si apre una causa milionaria per i 4 ospedali della Toscana realizzati in project financing: Massa (Apuane), Lucca, Pistoia e Prato. La società di scopo Sat S.p.A., vincitrice della gara per la realizzazione e gestione delle 4 strutture ospedaliere, chiama in causa le aziende sanitarie e la Regione chiedendo altri 35 milioni di euro.
Per la realizzazione dei 4 nosocomi la Regione Toscana si è avvalsa del project financing. Nel 2007 è stata firmata la convenzione (durata concessione 20 anni). Le 4 nuove strutture sono state inaugurate tra il 2013 e il 2016.
Ancora una volta, firmata la convenzione iniziano i problemi. Prima l’aumento dei costi di realizzazione: 100 milioni in più che finiscono a carico dell’ente pubblico. Nel 2019 si apre un altro contenzioso, risolto con un accordo stragiudiziale milionario, tutto a vantaggio del privato concessionario. Poi nel 2022 un’altra causa, questa volta la società concessionaria chiede 35 milioni. E così l’operazione costerà alle casse pubbliche almeno 140 milioni in più rispetto a quanto preventivato.
Quando le cose vanno male, chi paga il conto?
I due casi appena visti, ma se ne potrebbero citare moltissimi altri, sono gli esempi di un sistema nel quale, grazie soprattutto a pubblici amministratori più o meno “distratti” o compiacenti, quando non addirittura conniventi, le operazioni di project financing si possono trasformare in un capestro per le finanze pubbliche, dove a guadagnarci (o comunque non rimetterci) è il privato e a perderci è l’ente pubblico, ossia i cittadini.
Cosa dicono la Corte dei Conti e ANAC sui rischi del project financing
Secondo la Corte dei Conti, nella convenzione stipulata dalla Regione Toscana per i 4 ospedali si riscontra “una spiccata convenienza per il concessionario” (il soggetto privato), facendo ricadere la maggior parte dei rischi sul concedente (l’ente pubblico). Il rischio risulta sbilanciato sulla parte pubblica e l’attività di controllo, che doveva essere compiuta dall’ente pubblico, viene definita dai magistrati contabili “modesta”.
Nel 2016 anche ANAC, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, era intervenuta denunciando l’utilizzo improprio del project financing “senza l’effettivo trasferimento del rischio dalla parte pubblica alla parte privata” con la conseguente “traslazione nel futuro dell’onere finanziario dell’operazione” sull’ente pubblico concedente. Secondo ANAC, ciò ricorrerebbe in particolare a causa di previsioni contrattuali e stipula di convenzioni “che spesso non determinano un’effettiva traslazione del rischio economico in capo al gestore (concessionario)”.
La magistratura contabile e ANAC hanno più volte ribadito l’importanza di effettuare previsioni e stipula di convenzioni (contratti di concessione) che siano in grado di tutelare adeguatamente la pubblica amministrazione dal doversi far carico di oneri e rischi non previsti o non definiti.
La differenza tra “project financing” e “appalto”
Se il project financing, rispetto all’appalto, sembra prospettare maggiori rischi per l’imprenditore privato che si presta a realizzare e gestire un’opera pubblica in concessione, i fatti dimostrano quanto in realtà spesso accada il contrario. Tutto dipende da cosa c’è scritto nel piano economico finanziario (PEF), nella matrice dei rischi e nelle clausole del contratto di concessione.
ANAC e Corte dei Conti hanno più volte messo sull’avviso (e condannato) la pratica di far passare appalti veri e propri, dove rischi e oneri sono prevalentemente a carico dell’ente pubblico, “mascherandoli” sotto la forma di contratti di project financing.
Occorre inoltre considerare che, in caso di appalto, il soggetto privato coinvolto è l’impresa realizzatrice dei lavori o dei servizi, che deve possedere e garantire requisiti molto stringenti di affidabilità, competenza tecnica, risorse adeguate e solidità finanziaria. In caso di difficoltà o inadempienza, la società concessionaria ne risponde con tutto il suo capitale di rischio e come impresa nel suo insieme.
Nel caso del project financing, il soggetto coinvolto è soltanto la società di scopo (generalmente una scatola vuota) appositamente creata per la realizzazione e gestione dell’opera, magari con un capitale di rischio minimo e investimenti in massima parte contratti a debito. In caso di difficoltà o inadempienza, i soggetti che detengono la società concessionaria ne rispondono solamente con il capitale di rischio in capo a questa entità separata.
Nel caso specifico del rifacimento dello stadio Tardini, il Comune di Parma dovrà rispondere contrattualmente per un’opera del valore complessivo di € 168,8 milioni, con una previsione di volume di affari, secondo il piano economico finanziario, di € 1,35 miliardi in 87 anni, con una società concessionaria con € 5 milioni di capitale di rischio (equity).
Una previsione economica che non regge alla più elementare prova dei fatti
Il piano economico finanziario del nuovo stadio Tardini si regge su ipotesi di ricavi di gestione che appaiono decisamente inverosimili. Ecco quelle più evidenti:
- Canone utilizzo dello stadio per il Parma Calcio 1913 di € 2.500.000 se milita in serie A e € 2.000.000 se nelle serie minori. Attualmente la società paga € 151.000 se gioca in serie A e € 111.000 se in B.
- Ricavi da vendita premium seating: € 5.294.300 per 2.315 posti a sedere “premium”. Si tratta di trovare a Parma 2.315 tifosi disposti a pagare la bella cifra di € 2.287 a campionato.
- Naming rights (diritti di intitolazione) stadio: € 3.500.000. Cioè più di 4 volte l’Atalanta (56 presenze in serie A e regolarmente in lotta per la Champions).
Molte perplessità ci sono anche sul fronte dei costi di gestione del nuovo stadio. Quelli indicati sul PEF al vaglio della Conferenza dei servizi, in particolare i costi di manutenzione straordinaria: per un impianto sportivo con un costo di costruzione di € 113.636.000 e una vita utile di 87 anni, i € 238.400 all’anno prospettati dal proponente non sono assolutamente in linea con i comparativi del mercato, che indicano costi almeno 10 volte tanto.
Ricavi da stadio sopravvalutati e costi sottovalutati causeranno inevitabilmente uno sbilancio negativo della gestione. Chi ripianerà, anno dopo anno, per 87 anni, quel disavanzo?
Perché nessuno parla delle questioni economiche?
Sono anni che, sul tema del nuovo Tardini, stampa locale, politica, esponenti degli ordini professionali, opinionisti, blogger, tifosi e comitati disquisiscono di qualunque argomento possibile: tigli, sosta selvaggia, parcheggi, consumo di suolo, intitolazione dello stadio, cavilli procedurali, ingressi monumentali, finto percorso partecipato, finte prescrizioni della Giunta al progetto, finto recepimento delle prescrizioni, stadio temporaneo in provincia, ritardi della Conferenza dei servizi, battibecchi tra esponenti della Giunta e Comitato Tardini Sostenibile (al quale, ribadiamo, l’Osservatorio non aderisce). L’unico argomento che viene invece eluso sistematicamente è quello che riguarda gli aspetti economici della vicenda, ripetendo o non contestando il mantra che “Krause è ricco, se vuole bruciare 600-700 milioni di capitale personale, a noi non interessa, anzi!”.
Tutto sembra voler tenere il dibattito e conseguentemente l’opinione pubblica lontano dalle questioni economiche legate al progetto del nuovo stadio:
- I risultati economici del Parma Calcio 1913. Dal 2015 a fine 2022 sono € 280 milioni di perdite. La previsione per il 2023 è di altri € 80 milioni di rosso, con perdite complessive di € 360 milioni.
- Il costo di realizzazione del nuovo stadio in soli 3 anni (dal primo progetto presentato in Comune il 9/9/2020, al definitivo presentato il 13/9/2023) è lievitato inspiegabilmente da € 54,6 milioni per 22.000 posti a sedere (durata concessione 40 anni) a € 138,4 milioni per 20.986 posti a sedere (durata concessione 90 anni).
- Una proposta di project financing del valore di € 168,8 milioni, con una previsione di volume di affari (desumibile dal PEF) di € 1,35 miliardi in 87 anni, sulla quale il Comune sarà vincolato contrattualmente per l’intera durata della concessione.
Chi tutela i cittadini di Parma?
Chi garantisce per i cittadini di Parma che il progetto del nuovo Tardini non finirà come la BreBeMi o gli ospedali toscani? I funzionari e dirigenti pubblici incaricati di esaminare il progetto definitivo saranno in grado di valutarne la fattibilità con la dovuta attenzione, diligenza e imparzialità ed esprimere un parere altrettanto obiettivo e imparziale?