La sezione di Parma di Italia Nostra prende atto con sorpresa e rammarico del fatto che la Conferenza dei Servizi preliminare ha espresso un parere “sostanzialmente” favorevole, peraltro in realtà limitato al solo aspetto tecnico, allo studio di fattibilità del nuovo Tardini.
Al riguardo occorre ricordare che il buon esito della proposta di Project Financing dipende non solo dalla sua fattibilità tecnica, ma anche e soprattutto dalla fattibilità economica espressa dal Piano Economico Finanziario (PEF) del proponente Parma Calcio.
Leggendo il verbale conclusivo della Conferenza dei Servizi è agevole concludere che la sostenibilità economica del progetto è stata “sostanzialmente” stroncata. Sarebbe, anzi, urgente ed essenziale per un’elementare esigenza di trasparenza, peraltro doverosa per un’opera così impattante, pubblicare integralmente le valutazioni condotte dalla società advisor individuata dal Comune con gara pubblica proprio per esaminare tale aspetto. Difetta uno dei fondamentali pilastri che secondo la giurisprudenza amministrativa e contabile caratterizza il Project Financing e cioè la capacità di generare flussi positivi sufficienti a coprire i costi operativi di gestione. La circostanza è attestata dal verbale conclusivo della Conferenza dei Servizi nel punto in cui afferma l’esistenza di una valutazione particolarmente alta dei ricavi e una collocazione dei costi in fascia bassa o molto bassa rispetto ai benchmark di riferimento.
Anche altri aspetti dell’operazione economica lasciano sconcertati. Al di là del dato formale costituito dal fatto che la legge non consente (ancora) la cessione gratuita del diritto di superficie del Tardini al Parma Calcio (l’art. 4, comma 12, Dlgs. 38/21 non è ancora in vigore), si sottolinea che sarebbe totalmente inaccettabile contribuire con cespiti pubblici alle iniziative commerciali di un privato in vista della costruzione di uno stadio che egli sfrutterà per 90 anni. Se poi, come afferma esplicitamente il verbale conclusivo della Conferenza, la quantificazione del diritto di superficie del Tardini non è coerente col valore del cespite (attualmente 55,6 milioni di euro), allora si deve ritenere che neppure esiste alcuna garanzia del rispetto del limite di finanziamento degli enti pubblici alle operazioni di project financing posto dall’art. 180, sesto comma, D.Lgs. 50/2016 (49% del costo dell’investimento). Il superamento di tale limite risulterebbe anzi provato considerando la valorizzazione della superficie di stadi analoghi. Ad esempio se la superficie del Bentegodi (circa 31.000 posti omologati), situato all’estrema periferia di Verona in prossimità della tangenziale, è stata valutata per 40 anni in 30-35 milioni di euro, allora la superficie in pieno centro città del Tardini (circa 22.350 posti omologati) concessa per 90 anni può essere quantificata in una cifra più che doppia.
Sarebbe quindi assai grave sotto vari aspetti accettare il progetto del nuovo Tardini pur in presenza di una incongrua valutazione del diritto di superficie e della sua insostenibilità economico finanziaria accertata dalla stessa Conferenza dei Servizi. È appena il caso d’osservare che la Conferenza non ha per nulla superato le criticità economico finanziarie, evidenziate anche col contributo dell’advisor, riconoscendo anzi espressamente “che le questioni inerenti all’impostazione del PEF… allo stato attuale potrebbero non essere utilmente risolte”.
Se, dunque “allo stato attuale” è posta in discussione la stessa impostazione del PEF è anche preclusa sia la possibilità di dichiarare l’interesse pubblico del progetto preliminare sia l’inserimento del nuovo Tardini nel programma triennale di opere pubbliche.
Neppure convince il parere, pur fra “mille” prescrizioni, “sostanzialmente” favorevole all’aspetto tecnico del progetto. I contenuti tecnici dello studio di fattibilità dei nuovi impianti sportivi sono stabiliti da una norma speciale che prevale e completa quella generale che prevede il ricorso in via transitoria al DPR 207/2010 per tutte le operazioni di Project Financing.
In virtù del rinvio operato dal comma 1 dell’art. 62 DL 50/2017 convertito nella Legge 96/2017, lo studio di fattibilità dei nuovi stadi deve contenere gli accertamenti e verifiche indicati dall’art. 23, sesto comma, del Codice dei contratti pubblici. Quest’ultima norma pone in particolare evidenza “l’avvenuto svolgimento di indagini geologiche, idrogeologiche, idrologiche, geotecniche, sismiche, storiche, paesaggistiche ed urbanistiche”, nonché di “studi di fattibilità ambientale, di diagnosi energetiche e di misure di mitigazione e compensazione dell’impatto ambientale”.
Numerosi partecipanti alla Conferenza hanno evidenziato la totale assenza o la grave insufficienza di elementi che avrebbero dovuto costituire fondamentali presupposti dello Studio di fattibilità.
L’analisi geologica si riduce ad una ricerca bibliografica neppure firmata da un geologo. Il riscontro geotecnico assume parametri obsoleti di inizio anni ‘90. In una zona di protezione degli acquiferi sotterranei non esistono verifiche sulla protezione delle acque di falda. Non esiste traccia di misure di compensazione dell’inquinamento acustico e dell’aria, indotto anche dalle nuove funzioni commerciali, o della compatibilità urbanistica e territoriale dell’opera rispetto al contesto generale ed al Petitot in particolare, così come della caratterizzazione del sito in previsione del ritrovamento di terreni contaminati. Pure assente la verifica di conformità degli impianti ai requisiti energetici.
Anche un breve e sintetico esame mette in luce come in realtà non sia stato mai presentato uno studio di fattibilità tecnicamente accettabile, bensì una bozza approssimativa dello stesso, non certo idonea a una valutazione tesa, in primo luogo, a tutelare la salute dei cittadini.
L’urgenza che presumibilmente ha impedito la stesura di un ponderato studio di fattibilità è resa evidente da una serie di elementi tra i quali c’è solo l’imbarazzo della scelta. Si va dalle significative differenze tra i vari elaborati presentati pur relativi allo stesso tema, all’assenza di fattori necessari per permettere la “piena leggibilità” del progetto o al riferimento a normative superate.
Francamente rimane misteriosa la ragione per cui lo studio di fattibilità sia stato considerato in linea con l’obiettivo della programmazione provinciale di “decentrare le attività a maggior afflusso di pubblico” dello stadio quando le nuove funzioni del Tardini (commerciale, di pubblico spettacolo, concerti, etc.) sono ritenute dall’Arpae “a forte richiamo di pubblico”.
Occorre del resto sottolineare una strana inversione dei ruoli. Infatti normalmente è il proponente che deve apportare al progetto di fattibilità le modifiche necessarie per la sua approvazione. Nel nostro caso invece è la pubblica amministrazione che, con varianti urbanistiche e sdemanializzazioni, dovrebbe adeguarsi alla volontà del Parma Calcio.
A prescindere da ulteriori importanti rilievi critici, relativi ad esempio al rivestimento in acciaio COR-TEN dello stadio, esistono assorbenti ragioni sia economiche che tecniche che inducono a respingere al mittente il progetto del nuovo Tardini. La sezione di Parma di Italia Nostra, consapevole che la consegna di un bene pubblico a un privato per 90 anni è problema che investe l’intero assetto della città per molte future generazioni, chiede dunque un radicale ripensamento dell’intera operazione all’insegna di un maggiore rispetto, attenzione e, in definitiva, tutela per Parma e i parmigiani.
Italia Nostra, sezione di Parma, 23/10/2021